Come scrive Roland Barthes, per Aristotele la retorica è una “logica degradata”. Se il sillogismo è il fondamento dell’argomentazione logica, per cui tre proposizioni dichiarative sono connesse in modo tale che dalle prime due, assunte come premesse, si deduca una conclusione (classico esempio: tutti gli uomini sono mortali, tutti gli italiani sono uomini, tutti gli italiani sono mortali), se dunque un ragionamento condotto con un sillogismo ènecessario, cioè sempre corretto, eformale, in quanto la correttezza dipende dalla sua struttura e non dal significato delle sue parole; l’entimema, al contrario, è il fondamento della retorica, ovvero un para-sillogismo che arriva alla conclusione partendo da premesse non evidenti o nei dati di fatto oppure nelle connessioni logiche che si affidano a verosimiglianze o segni.
In un racconto, il “verosimile impossibile” vale più del “possibile inverosimile”, perché la logica adattata al livello del senso comune e dell’opinione corrente rende accettabile per il pubblico quello che il pubblico accoglie nel novero delle possibilità, anche se questo novero accoglie ciò che è impossibile scientificamente.[1] Legando le affermazioni al contesto, l’argomentazione retorica si autoconvalida sulla base del consenso generale e non su principi astratti. Ragione, morale ed emozione (lógos, éthos e pathos, le componenti cognitive e neurologiche/fisiologiche) si pongono sullo stesso piano di interdipendenza rifiutando la configurazione formale e dogmatica della verità e favorendo, almeno in teoria, un pensiero critico in grado di generare opinioni alternative, formulare contro-argomentazioni e prendere decisioni conseguenti.[2] La caduta in disgrazia e il discredito intellettuale che la retorica subisce a partire dal XVI secolo si spiega appunto con l’affermazione del nuovo valore dell’evidenza, che riduce il linguaggio a medium di espressione. La retorica è un colore, un ornamento che non deve macchiare l’autosufficienza del “naturale” in tutte le sue manifestazioni, quella personale (nelle vesti del protestantesimo), quella razionale (cartesianesimo), quella sensibile (empirismo).[3]
Stefano Calabrese segna una prima rinascita della retorica con il Trattato dell’argomentazione pubblicato nel 1958 dallo studioso di logica formale, teoria giuridica Chaïm Perelman, secondo il quale l’argomentazione si rende necessaria nella negoziazione della convivenza sociale degli individui grazie a una “focalizzazione della realtà” versatile, contrapposta a quella offerta dalla dimostrazione delle scienze esatte che è oggettiva e inattaccabile nelle sue conclusioni.[4] In questa prospettiva, dove ogni proposizione ne ammette un’altra, argomentazione, narrazione e persuasione appaiono correlati in un legame inestricabile, in uno scambio di campi di appartenenza produttivo tanto di pensiero critico quanto di pensiero unico (l’ordine universale che si afferma tradizionalista e autoritario di cui si diceva sopra), specie se si volge lo sguardo alla cornice mediologica entro la quale il racconto si svolge. Già trenta anni fa, in un’epoca di scenari dei media molto simile,mutatis mutandis, a quella attuale, Maria Corti, assisteva a un:
significativo mutamento di area di pertinenza tanto dei generi di letterari quanto della retorica, il loro cambiamento di casa: cioè calo di entrambi i fenomeni a livello alto della letteratura, straordinario incremento a livello di mass media e della letteratura di consumo. Da un lato romanzo rosa dei rotocalchi, romanzo giallo, romanzo storico e sceneggiato in televisione, racconti inclusi in messaggi pubblicitari rigorosamente codificati a seconda dello strato sociale dei destinatari testi tali da simboleggiare tutto ciò la cui scomparsa è fuori discussione; dall’altro l’esplosione delle strutture retoriche nei messaggi settoriali (pubblicità, politica, sport ecc.).[5]
Ora, in un’epoca in cui i media diventano digitali e social, non solo si fa fatica a distinguere il “livello alto della letteratura” da quello dei mass media e della letteratura di consumo, ma sfumano gli stessi contorni che separano la vita pubblica da quella privata: l’”esplosione delle strutture retoriche”, e dunque delle potenzialità persuasive della narrazione, investe ogni sfera del patto di convivenza tra gli individui, rendendo quantomai attuale se non una rivalutazione della retorica, una rivalutazione dello studio di un’arte che, oltre a essere una pratica giocosa che scherza con le parole e la lingua, è una scienza che studia i fenomeni e gli effetti del linguaggio; una morale che impone un codice di comportamento data la sua capacità di sfruttare l’ambiguità della lingua e dunque essere un’arma in grado di arrecare danni; una pratica sociale che separa i potenti (chi ha accesso al potere della persuasione) dai sudditi, nell’antichità così come nella contemporaneità.[6]
Del resto, l’algoritmo combinatorio della bacheca di Facebook combacia alla perfezione con l’analogia attraverso la quale Barthes accosta la macchina per far calze di Diderot al montaggio delle parti della tecnica della retorica aristotelica: “la si può considerare come un solo e unico ragionamento di cui la fabbricazione dell’opera è la conclusione…” Nella macchina di Diderot, quello che viene infornato all’entrata è del materiale tessile, quello che si trova all’uscita delle calze. Nella macchina retorica di Zuckerberg, ciò che si mette all’inizio (input) sono materiali bruti di ragionamento, frammenti di fatti, foto, collegamenti, stati d’animo, un “soggetto”, ciò che si forma alla fine (output) è un discorso completo, strutturato, completamente armato per la persuasione.[7] Zuckerberg come lo scrittore del Medioevo: un trasmettitore che restituisce una materia assoluta che è il patrimonio di vita e conoscenze di un popolo che è diventato “popolo della rete”, fonte di autorità e dati, e un combinatore che si arroga il diritto di tagliare le opere ricevute, analizzarle senza sosta e ricomporle in un’altra opera.
[1] R. Barthes, La retorica antica, Bompiani, Milano 2011, p. 21.
[2] S. Calabrese, Retorica e scienze neurocognitive, Carocci, Roma 2013, pp. 19.
[3] Barthes, op. cit., p. 46.
[4] S. Calabrese, Retorica… cit., pp. 17-18.
[5] M. Corti, Principi della comunicazione letteraria, Bompiani, Milano 1976, pp. 184-185.
[6] R. Barthes, op. cit., pp. 7-8.
[7] Ibid., pp. 56-57.