L’edizione-uomo

Erano mesi che mi frullava per la testa. Un moscone che non riuscivo a scacciare. Finalmente ci ho risbattuto il muso contro: la celebre conferenza di Foucault del ’69, Che cos’è un autore?

24440_michelfoucault1“Supponiamo invece che si abbia a che fare con un autore: tutto ciò che egli ha scritto o detto, tutto ciò che egli ha lasciato, fa parte della sua opera? Il problema è insieme teorico e tecnico. Quando si intraprende la pubblicazione, diciamo, delle opere di Nietzsche, dove bisogna fermarsi? Ovviamente bisogna pubblicare tutto, ma cosa significa questo “tutto”? Tutto ciò che è stato pubblicato da Nietzsche stesso, certamente. Gli abbozzi delle sue opere? Senz’altro. I progetti di aforismi? Sì. Anche i ripensamenti, gli appunti in fondo ai taccuini? Sì. Ma quando, dentro un taccuino pieno di aforismi, troviamo un riferimento, l’indicazione di un appuntamento o di un indirizzo, oppure il conto della lavandaia: è un’opera o non è un’opera? E perché no? E così avanti all’infinito. Fra i milioni di tracce lasciate da una persona dopo la sua morte, come definire un’opera? La teoria dell’opera non esiste, e coloro che ingenuamente intraprendono la pubblicazione delle opere non posseggono una simile teoria, il che paralizza ben presto il loro lavoro empirico.”

Michel Foucault, “Che cos’è un autore?”, in Scritti letterari, Milano, Feltrinelli, 2004: 5.

Leggendo quel “milioni di tracce” come non pensare a quello che sta accadendo oggi con il Web 2.0? Il testo del filosofo francese sembrerebbe allora inaugurare il concetto di etnografia della scrittura, nel senso di costruzione dell’identità attraverso la traccia scritta. Ma oggi, nell’ambiente digitale, la questione non è più definire “l’opera”, ma semmai mapparne la pressoché sconfinata estensione. Fra Twitter e Facebook, fra Delicious e Googledocs, fino ad arrivare agli acquisti online e – perché no – al Telepass, la rappresentazione-codifica scritta dell’individuo sconfina ben oltre il sé materiale. Travalica il corpo e si innesta nell’eterno flusso di dati digitali che ci pre-segue, ci circonda, ci avvolge. Dunque non più che cosa è l’opera, ma che cosa è l’individuo?
E ancora: fare l’edizione critica dell’uomo-opera digitale sarà mai possibile? Dove per “edizione” s’intende la ricostruzione storica della memoria di un evento. Il questionario di Foucault si allarga: non che cosa pubblicare o salvare, ma come si definisce un evento online? Qual è il confine fra il proprio e l’altrui? Di chi, non solo di che cosa, stiamo parlando? Esisterà in futuro una memoria che non sia collettiva, “sociale”?

Raul Mordenti, in un suo saggio di prossima pubblicazione (vedi qui la mia recensione al suo ultimo libro), scrive:

“Se anche non avessimo più l’Autore (e la sua intenzione) noi avremmo comunque il testo; e se anche non avessimo più il testo (e la sua intenzione) noi avremmo comunque la tradizione del testo che ce lo trasmette, ciò che rappresenta, per l’appunto, lo specifico della filologia e della critica e la loro ragion d’essere. È questo il senso del testo”

Ancora una volta obiettivo polemico di Mordenti è la “deriva ermetica” decostruzionista, che avrebbe rinunciato a qualsiasi pretesa di rintracciare un significato nel testo. Ma io credo che la critica postmoderna, e in questo caso Foucault, si scagliasse contro la nozione di “tradizione”, mostrando come fosse sempre e comunque un prodotto di determinate condizioni e contesti storico-sociali. Contesti nei quali le scelte erano (e sono) spesso diretta emanazione dei poteri dominanti (in altre parole, il principio di potere non è neutrale rispetto al principio di tradizione).

Dunque il punto non è se esista o meno un senso, ma dove rintracciarne l’origine. Chi ne è il proprietario? Chi il gestore? Chi sceglie e crea, chi garantisce l’accesso e la fruizione? Oggetto della decostruzione non è il senso del testo, ma la “tradizione che rappresenta”, il potere che tramanda e tra-disce. Il senso emerge dalla tradizione, ma metterla in discussione è l’unico modo per liberarlo.

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  1. L’ambiente digitale pone non pochi problemi alla ricostruzione dell’opera e/o dell’identità di un uomo: fintanto che le sue tracce sono materiali, noi possiamo ricostruire una memoria rovistando carte, aprendo cassetti, pulendo una scrivania. Ma quando le azioni si smaterializzano ed entrano nella nuvola del Web 2.0? Un problema è culturale: chi sarà in grado di gestire i miei post o trovare le bozze del mio blog su WordPress, capire i miei feed salvati su Google Reader, recuperare le mie foto su Flickr, riaprire i miei documenti anche e solo semplicemente sul mio pc? L’altro ostacolo è pragmatico ma non meno drammatico: chi avrà le mie password dei miei molteplici account, necessarie per accedere alla mia memoria? A quest’ultimo problema, qualcuno inizia a pensare.

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