Oramai è un classico, e con pieno merito. [youtube width=”420″ height=”340″]http://www.youtube.com/watch?v=NLlGopyXT_g[/youtube] In quattro minuti e trentatré secondi, Michael Wesch non spiega soltanto le potenzialità sociali di quello che la moda chiama “web 2.0”, ma soprattutto dimostra che la macchina è fatta di testo: è scritta. A partire dalla superficie blu e sottolineata che attiva il grado zero dell’ipertestualità e dell’interattività, per arrivare alle profondità del codice (HTML, XHTML, XML che sia), e a prescindere dalla sua crescente multimedialità, il Web poggia le fondamenta della sua evoluzione, del suo funzionamento, del suo successo su una serie di caratteri alfanumerici che modellano pagine, relazioni e senso.
Caro Paolo, non so se devo ringraziarti o ammazzarti. Da circa tre settimane mi scervello per spiegare agli studenti quello che questo maledetto (benedetto!) Pinturicchio digitale ha affrescato in 4 minuti e mezzo sulla tela digitale. Sebbene la strada indicata ai miei studenti fosse quella giusta – la necessità di una etnografia digitale – Wesch è riuscita a sintetizzarla in forma poetica. Come è tipico solo di alcuni grandi artisti il suo video (?) è poesia e teoria insieme. Chapeau.
Video molto interessante ed espressivo. E’ il genere di contenuti che mette curiosità e stimola ad informarsi. Ha un suo ritmo, non è noioso, e l’idea è semplice. Mi ha colpito la frase “the machine is us”. Condivido pienamente: la macchina ci assomiglia sempre di più (non dimentichiamoci che, banalizzando, è
pur sempre un composto di fili elettrici, e noi un insieme di terminazioni nervose). La rete rappresenta il nostro Frankestein globale, ormai ha sempre più autonomia e nessuno può davvero controllarla. Direi però che “we are not a machine”. Questo ci ha permesso di sognare e creare internet, stupenda tecnologia dalle potenzialità infinite. Ma il futuro? Concludo con una mia recente visione: “Dio creò l’uomo. L’uomo creò la macchina. La macchina dominò il mondo e negò l’esistenza dell’uomo.”