Segnalo un interessante studio condotto negli USA sui livelli di retribuzione dei laureati di “primo livello” (BA) in diverse discipline, ivi incluse quelle umanistiche. Naturalmente è possibile criticare il metodo con cui è stata condotta l’indagine, nonché l’ideologia di fondo che la ispira. Tuttavia di primo acchito è interessante notare che: 1) Big Pharma, industria del greggio e telecomunicazioni disegnano lo scenario dell’élite della tecnocrazia attualmente egemone (i laureati in questi tre settori da soli valgono circa i 4/5 dell’intero mercato della lauree “deboli”); 2) non solo le donne, anche nei settori di punta, guadagnano il 30% in meno dei maschi, ma i settori “deboli” ovvero le cosiddette low-paying majors (counseling, social work, education) vedono la più alta percentuale di donne, afro-americani e immigrati.
Questo scenario, per quanto possa apparirci scontato, credo debba far riflettere su molte cose, non solo in USA, ma anche in Italia. Il problema della precarietà, delle rappresentanze sociali e delle relative “debolezze” dovrebbe essere affrontato, forse, come un sotto-problema del problema formativo e culturale. Si capisce da queste cifre perché i governi di tutto il mondo tagliano senza pietà scuola, università, sanità. Lo scenario dei conflitti sociali — cfr. gli indignados di Puerta del Sol, definiti la generazione più colta della storia di Spagna — sarebbe dunque rappresentabile come una contrapposizione fra élite tecnocratiche iperpagate e neo-proleteriato urbano della cultura, dei lavori socialmente utili e dell’insegnamento. Forse non si tratta di tradizionale conflitto di classe, perché qui oltre allo sfruttamento c’è il problema della sovra-istruzione di una massa di persone, ma proprio di ciò si tratta: sarà capace (e se sì a quale prezzo) l’élite tecnocratica globale di far fuori un’intera generazione e riportare indietro di qualche secolo le lancette della storia?