I libri di famiglia, Facebook e il potere di scrittura

La ricostruzione della storia della ricerca sui libri di famiglia che ho scritto per il numero 17 di Testo e Senso non è stata soltanto la testimonianza di un momento felice della ricerca umanistica in Italia, e in particolare di quella critico-letteraria. Il lavoro di quel gruppo, stimolato da Alberto Asor Rosa e iniziato da Angelo Cicchetti e Raul Mordenti, ha attraversato gli anni Ottanta, Novanta e gli inizi di quelli Duemila, in una progressiva quanto costante perdita di risorse e finanziamenti curiosamente proporzionale al progressivo aumento dei riconoscimenti, nazionali e internazionali, che la ricerca riceveva. Quell’impegno oggi trae una linfa nuova (e un sito nuovo, per ora in demo in attesa di essere trasferito sui server di Tor Vergata) da una tesi di laurea magistrale di Valerio Ventucci.

Non si tratta di un’operazione nostalgica. I dieci anni (e più) trascorsi dall’ultima versione online si sono tradotti in un approccio nuovo all’architettura e alla ristrutturazione della Biblioteca Informatica dei Libri di Famiglia (BILF) che nella prima metà degli anni Novanta era stata lo sbocco naturale della ricerca. Se fino al 2004 l’archivio viveva, si alimentava e si generava in un personal computer del ricercatore/sviluppatore di turno, per poi essere pubblicato sulla rete, oggi tutti i dati sono trasferiti in una piattaforma web (rigorosamente open source) che provvede sia alla strutturazione dell’archivio in un database relazionale MySQL che organizza e lega le tabelle, i campi e i valori di tutti materiali censiti e disponibili, sia alla generazione dinamica (attraverso script PHP) delle pagine consultabili e navigabili della biblioteca, secondo i collegamenti e le relazioni stabilite al momento dell’alimentazione della banca dati. La disponibilità online (on the cloud, direbbero i guru della rete) del Content Management System permette un’alimentazione e una gestione decentrate, indipendenti dal luogo fisico di creazione dell’archivio e della biblioteca digitali, nonché, grazie all’interfaccia grafica user friendly, aperta alla collaborazione senza barriere di linguaggi di programmazione. Inoltre, la logica del mash up transmediale propria di una piattaforma del web 2.0 produce percorsi nuovi di lettura ed esplorazione che possono portare a nuovi percorsi di analisi, indagine e ricerca. Ne è un esempio la visualizzazione cartografica delle città di produzione dei manoscritti, dove i dati di Google Maps, collegati ai dati delle schede dei manoscritti, rendono conto immediato e visuale della portata nazionale del fenomeno dei libri di famiglia.

Al di là dell’operazione strutturale di informatica umanistica, che già da sola avrebbe comunque giustificato in pieno la necessità di riscoprire quella ricerca, c’è però dell’altro: i libri di famiglia offrono uno sguardo interpretativo tanto sugli spazi di scrittura dal Trecento al Seicento quanto sugli spazi di scrittura della nostra epoca. Nella comunicazione intergenerazionale instaurata all’interno della famiglia (che era sia il mittente che il destinatario del messaggio, oltre che l’argomento), il libro, spesso scritto a più mani, era elencazione di nascite, matrimoni, morte ed eredità, ma anche condivisione di norme comportamentali e sanitarie, registrazione di sogni nonché di eventi di portata extra-familiare che davano alla vita della famiglia la possibilità di incrociarsi con la Storia (incoronazioni, guerre, faide cittadine, etc.). Questo spazio di scrittura, privato e insieme pubblico, documentale e rituale, declina nel XVII secolo: seguendo un’intuizione di Armando Petrucci, Mordenti ipotizza che la scomparsa dei libri di famiglia segnali l’avvento di un nuovo potere di scrittura, il potere centralizzato dello stato burocratico, della chiesa e della stampa:

Questa nuova forma del potere di scrittura […] richiede una forte disimmetria tra pubbliche autorità e privati cittadini ed esige un’accentuata concentrazione della scrittura; sono queste le condizioni necessarie affinché possano esprimersi compiutamente come esclusivi  poteri del potere la persuasività, la propaganda, la memoria glorificante (ma anche le corrispettive, e non meno importanti, funzioni di dissimulazione, occultamento segreto); inoltre alla concentrazione nelle mani dello stato del potere di scrittura si affida la forma moderna del controllo capillare dei cittadini da parte del potere, cioè la decisiva funzione della registrazione, sistematica, centralizzata e totalizzante […]
Raul Mordenti, Scrittura della memoria e potere di scrittura (secoli XVI-XVII). Ipotesi sulla scomparsa dei “libri di famiglia”, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia”, serie III, vol. XXIII, 2 (1993), pp. 757-758

È evidente come oggi ci troviamo di fronte a un’altra svolta, a un altro, cruciale trasferimento del potere di scrittura: dallo stato ai social media, dalla stampa alle piattaforme e dispositivi digitali. Solo qualche anno fa, quando potevamo concederci il lusso di essere ottimisti, avevamo immaginato che le tecnologie digitali offrissero una “nuova linea di credito alla scrittura” dal basso e dai margini (Teresa Numerico, Domenico Fiormonte e Francesca Tomasi, L’umanista digitale, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 76), ma con i social network siamo tornati, per dirla ancora con Petrucci, “un popolo che sottoscrive” piuttosto che “un popolo che scrive”.

In questa transizione che si contrattualizza nel momento in cui accettiamo i termini di servizio del social network di turno, la dimensione privata della scrittura torna a incrociare la dimensione pubblica: il news feed di Facebook è una carrellata di condivisioni intime, eventi privati, accadimenti pubblici, notizie di portata internazionale e locale, foto familiari, nuove e vecchie, confessioni, intenzioni, sogni che il potere totalizzante della piattaforma traduce in dati di controllo predittivo delle azioni, piuttosto che preventivo. Come sottolinea Evgeny Morozov, nessun governo dispone della forza e della velocità per rendere inter-operative basi di dati sempre più estese e sempre più alimentate dai comportamenti degli utenti registrati: la regolamentazione della legge dello stato cede il passo alla “regolamentazione algoritmica” di Facebook (e Google, e Uber, etc.), grazie alla quale alla burocrazia statale si sostituisce una psicologia comportamentale in grado di monetizzare le scritture, esplicite e implicite, sulla rete, scritture “datizzate” e vendute come merce ad aziende che se ne serviranno per fini pubblicitari (v. Evgeny Morozov, Silicon Valley: i signori del silicio, Torino, Codice, 2016, pp. 57-77).

Perché questa macchina di controllo possa funzionare, è indispensabile che il potere di scrittura, o meglio il simulacro del potere di scrittura, torni nelle mani dei privati cittadini senza mediazioni statali e legislative, il diritto d’autore oramai svuotato di efficacia, le controversie tra le parti in causa sottomesse al regolamento aziendale e sovranazionale di una delle Minacciose Cinque. Privati cittadini singolarmente intesi, si badi bene,  considerati membri di una comunità sociale solo in quanto iscritti al recinto autosufficiente del network. È l’utente singolo il mittente e il destinatario preferito della comunicazione governata dai media digitali perché servono tanti utenti singoli a generare una marea di dati significativi che possano diventare inserzioni pubblicitarie ad personam che possano trasformarsi in tanti, moltiplicabili, profittevoli, singoli acquisti. Come dice Don Livio sposando Tommaso e Stefania nel film di Alessandro D’Alatri Casomai (2002): «Due persone divise spendono più di due unite: due case, due automobili, due lavatrici, due dentifrici. Tutto doppio!»

Le scritture dei libri di famiglia erano un rito solenne che si consumava in un’intimità collettiva riservata, che solo eventualmente aveva un rilievo pubblico. Come è accaduto in seguito per la fotografia, un’altra forma di “scrittura” familiare: Roberto Casati nota che fino all’avvento degli smartphone e delle piattaforme di condivisone di foto, fotografare è stato per l’appunto l’atto di un cerimoniale che si organizzava intorno a occasioni rituali come compleanni, feste, vacanze (Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale: istruzioni per continuare a leggere, Kindle Edition, Bari, Laterza, 2013). La moltiplicazione privatizzata del potere di scrittura offerta da Facebook smonta questa cerimonialità comunicativa e la riduce a una compulsione indotta dal design di interfacce hardware e software che attirano e trattengono gli ‘scriventi’ nella migliore user experience possibile, ovvero quella che non prevede un’opzione d’uscita.