Contenuti, venite a me. Come Facebook si impadronisce del Web

“The Open Web is shrinking”, ha detto Geert Lovink presentando all’Università di Roma 3 il libro di Teresa Numerico, Francesca Tomasi e Domenico Fiormonte The Digital Humanist. A Critical Inquiry. A guardare questa infografica di NowThisNews, la compressione di quello che chiamiamo ancora World Wide Web è evidente.

I contenuti online: dai siti alle piattaforme
I contenuti online: dai siti alle piattaforme

Fino alla prima decade del XXI secolo, consumavamo contenuti navigando sui siti, che aggregavano e comprendevano tutti i formati e tutte le declinazioni di testi, immagini, foto, video, audio prodotti dall’editore (un editore da intendersi in senso ampio, dal momento che il Web ha reso tutti editori abbattendo le barriere di accesso alla produzione di contenuti e rendendo superflue le mediazioni editoriali tradizionali). I siti erano il contenitore, se non unico, privilegiato delle interazioni con i visitatori e gli utenti ed erano la pista di decollo e di atterraggio della distribuzione.

Per venti anni, gli accessi ai siti sono stati dominati dai motori di ricerca. Sui miliardi di pagine web esistenti, Google ha costruito il suo monopolio, il vero portale di accesso a Internet di una generazione di navigatori. Ma con l’evoluzione di Facebook da sito di socializzazione tra amici ad applicazione attraverso la quale gruppi musicali, aziende, ristoranti, marchi e celebrità possono connettersi con i loro fan e clienti, le cose sono cambiate. I social network, che in realtà coincidono al 90% con Facebook dal punto di visto di generazione di traffico web, compaiono in quota sempre maggiore tra i referral dei siti: tanto per essere chiari, nel corso del 2015, uno studio di Parse.ly, che segue l’analisi dei dati di traffico per 400 tra i più influenti siti di news online, ha rilevato il sorpasso di Facebook su Google come sorgente di accesso alle pagine del proprio network.

Ma, come detto, non è più solo una questione di sorgente di traffico sui siti. La sfida di Facebook è l’acquisizione dei contenuti: dal Web all’interno della piattaforma. Se viviamo in èra in cui è Mark Zuckerberg il mediatore dell’accesso alla Rete, una Rete sempre più mobile e sempre più fatta di app che sfruttano Internet ma eludono il Web, e se la metrica cruciale diventa, invece che il numero di visite al sito, l’engagement social (con tutto il suo corollario di reach, like, share, commenti), e se l’algoritmo della piattaforma decide di assegnare un’esposizione più ampia a un contenuto che non è condiviso da una terza parte, ma piuttosto caricato in modalità nativa sulla piattaforma stessa, con tutto quello che ne consegue in termini di visibilità e dunque coinvolgimento dei fan, allora, se tutto questo è vero: perché non pubblicare tutto non su, bensì in Facebook?

Negli ultimi 5 anni, le fan page si sono affermate come un vero e proprio spazio di pubblicazione e distribuzione alternativo e concorrenziale al sito web, proprio perché gli aggiornamenti del News Feed di Facebook hanno consegnato i premi di visibilità non tanto (non più) a favore delle condivisioni di link (a meno che non provengano da Instagram, di proprietà di Facebook), ma a favore del caricamento diretto di foto prima e, da alcuni mesi, in un guanto di sfida lanciato contro YouTube, di video poi. Nel prossimo mese di aprile, sarà la volta di tutti gli articoli dei giornali e delle riviste online e dei post dei blog.

Già a disposizione di alcuni editori in via sperimentale (in Italia, La Stampa è stato il primo giornale a partecipare alle prime prove), gli Instant Articles sono un nuovo modo per creare articoli interattivi su Facebook, velocissimi da scaricare sui dispositivi mobili. Così, almeno, annuncia la pagina di presentazione ufficiale. In realtà, sono la consegna definitiva a Zuckerberg del valore dei contenuti online, ingabbiati come una feature nativa e omologata dell’app, invece che esperienze di navigazione web ottimizzate e diversificate sui siti sorgente. Incapaci per tutti questi anni di pensare sia a un modello remunerativo e di qualità della distribuzione online dei contenuti che a un’esperienza di lettura e fruizione usabile, veloce e adatta al mezzo, gli editori si rivolgono a Facebook per entrambi i problemi.

Facebook ringrazia, risolve, assorbe nella sua interfaccia front e back end, come un vero e proprio content management system, i contenuti e assicura che gli articoli saranno davvero istantanei, fino a dieci volte più veloci da scaricare di un ordinario articolo web, e con funzionalità tipiche e oramai familiari per gli utenti dell’app, come l’ingrandimento a tutto schermo delle immagini o l’autoplay dei video incorporati. Come è possibile? Utilizzando tecnologie a disposizione di chiunque: HTML e RSS, con qualche ovvio e inevitabile ritocco proprietario. Perché la beffa ai danni del World Wide Web sta tutta qui: i linguaggi e i protocolli di pubblico dominio sui quali l’applicazione di Tim Berners-Lee ha fondato un accesso libero e universale alle informazioni e alla conoscenza sono sfruttati da Facebook, così come da Google, che già da febbraio offre i suoi articoli istantanei nella versione mobile con un progetto simile chiamato AMP — Accelerated Mobile Pages, per implementare soluzioni che si ammantano della filosofia e dello sviluppo open source per monetizzare interfacce proprietarie di programmazione che utilizzano il Web come un sistema informativo tra gli altri. Con l’imperdonabile pregio di essere gratuito.